Da quando non sono più una bambina mi sono accorta di una cosa: la concezione che ho della mia altezza somiglia a quella degli antichi egizi. I quali non solo avevano il buongusto di rappresentare le persone disegnandone sempre solo il profilo migliore, ma le facevano alte o basse, grandi o piccole, a seconda della loro importanza.
Questo significa che io, dal mio onesto metro e 70, quando sono con alcuni tipi di persone, mi sento “alta” più o meno 1 metro e 30. E le guardo dal mio livello-sedia come un cane timoroso guarda uno sconosciuto che entra in casa.
Queste persone sono:
- quelle che stimo
- quelle più vecchie di me
- quelle di cui non ho appena soggezione: ne ho proprio paura (e ce ne sono!).
Ecco, a volte capitano alcuni momenti di illuminazione in cui mi rendo conto davvero dello spazio bislungo che occupo: tipo oggi in ascensore. Un po’ pressata come la carne dell’hamburger che avevo appena mangiato, mi sono ritrovata faccia a faccia, anzi, pertica a pertica contro una collega che ho sempre visto, da anni, come una montagna, anzi, posso dire, come una piramide. Grande e grossa, autoritaria e pungente, perché appartiene alla categoria di quelle che mi fanno paura, quelle che non vorrei mai avere contro di me, quelle che se ce l’avesse con me, io nasconderei la testa sotto l’asfalto come fossi uno struzzo di città. E invece, a un palmo di naso, vedendo come il suo naso fosse più in basso del mio, mi sono accorta che non solo non è così tanto una montagna, ma io sono più alta di lei di almeno 10 centimetri.
Concludo la zuppa con alcune domande da un milione di dollari: se gli egizi avessero conosciuto i Watussi, si sarebbero sottomessi? O avrebbero inventato la prospettiva prima di Giotto? O avrebbero attuato la democrazia prima dei greci?
Ai postumi l’ardua sentenza.
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